In questo periodo davvero particolare la sanità è fortemente sotto stress per i noti motivi legati al Covid-19.
Tuttavia quello che vi racconto oggi è una situazione davvero paradossale a cui ho assistito, che si verifica proprio in ambito sanitario ma che, per fortuna, nulla ha a che fare con i decessi e con le problematiche del Coronavirus.
Quindi, fatta questa dovuta contestualizzazione, passiamo ai fatti.
Ieri mi sono recato all’ASP Palermo di via Gaetano La Loggia (all’interno dei locali che ospitavamo il manicomio) per ritirare dei medicinali presso la farmacia interna, abilitata alla consegna di particolari farmaci che non sono disponibili nelle altre farmacie in città.
La farmacia si trova dislocata lungo alcune stanze di un padiglione con giardino interno, che in passato aveva evidentemente altri utilizzi. L’accesso all’intera area è totalmente libero. Giunti davanti l’ingresso, sulla porta si apprende che il servizio, in seguito all’emergenza COVID-19, è stato modificato: i farmaci non possono essere più ritirati in loco esibendo l’apposito piano terapeutico, bensì consegnati a domicilio da personale incaricato. Un servizio intelligente che scongiura, almeno dovrebbe, il canonico assembramento in attesa del turno.
Se non fosse che il piano terapeutico va comunque consegnato lì per poter richiedere il domicilio. Ed è qui il fatto che tengo ad attenzionare affinchè si possa porre subito rimedio:
appena fuori la porta della farmacia, chiusa, noto una sedia al di sopra della quale sono raccolte decine e decine di piani terapeutici, che oltre a riportare i nomi dei pazienti e i loro recapiti telefonici, contengono le patologie e tutti i dati di consegna di ogni singola pratica. Decine di dati sensibili, fondamentali per richiedere la consegna di farmaci anche molto importanti e urgenti per determinate patologie.
Insieme ad un altro presente, con modi e cortesia faccio quindi notare ad una dottoressa (che nel frattempo era uscita dall’interno) che quei documenti sono totalmente incustoditi, lontani da qualsiasi forma di controllo anche visivo, liberi di essere consultati, dispersi o distrutti da un qualunque passante, significando quindi il rischio di perdita concreta degli ordini medici necessari alla cura dei pazienti in causa (oltre a un’evidente violazione del diritto alla privacy).
La stessa dottoressa, della quale non ho potuto desumere il nominativo, ribatteva alla nostra osservazione con manifesto disturbo e tono arrogante, rivendicando il ritiro periodico di quelle pratiche, che nel concreto erano accatastate presumibilmente dalla mattina visto il cospicuo numero. E quando le si sottolineava il fatto che i dati sensibili sono importanti e necessitano di un trattamento adeguato, tagliava corto con la seguente frase:
“...Se avete preoccupazione per la privacy, inviate tutto via email!!!“.
Poi andava via, senza nemmeno mostrare un pizzico di disponibilità verso quelle persone che attendevano di ricevere una spiegazione o un’indicazione sulle loro pratiche.
Senza voler estendere genericamente il giudizio a tutti gli operatori sanitari del plesso, la maggior parte dei quali sono lavoratori seri, non è possibile non denunciare tale situazione e comportamento davanti a un problema così importante. In un contesto in cui si comunica da sempre con pezzi di carta appesi al muro, i numeri telefonici sono irraggiungibili per settimane ed è impossibile mettersi in contatto a distanza con la struttura, questo modo di fare è alquanto superficiale e vergognoso.
In particolar modo durante un periodo in cui viviamo oltremodo dei disagi, il rapporto umano dovrebbe prevalere su tutto, così come la voglia di aiutarsi reciprocamente e accettare osservazioni e critiche, se poste in modo educato e con spirito costruttivo.
Comprendo che gli operatori sanitari soffrano oltremodo un carico di stress ulteriore e ogni tanto possano perdere la pazienza. Fin quando però tale stress non infici la sicurezza di procedure delicate dove di mezzo c’è la salute delle persone.
Come è finita questa vicenda?
Con alcuni dei presenti, oltre a lasciare il piano terapeutico in forma cartacea nell’apposito contenitore (incustodito), abbiamo deciso di inviare medesima documentazione anche all’email che era riportata nell’avviso, per scongiurare il rischio dello smarrimento appena descritto.
Dopo qualche ora riceviamo un feedback all’email, all’interno della quale una dottoressa ci conferma l’ordine e ci bacchetta del doppio invio, che le ha causato “doppio lavoro“.
Inutile dire che tutti avremmo fatto a meno del doppio invio e di queste polemiche.
Spero che gli organi competenti dell’ASP possano indicare la retta via ad alcuni operatori, al fine di vivere tutti felici e contenti.
G.D.
Questa gente, non dico che va licenziata, ma chiusa nelle stanze a sistemare cartacce e non merita nemmeno il contatto con esseri umani. Mi auguro che Mobilità possa seriamente denunciarli.
Ma perché continuano a fare così… denunciateli, no ?
Altrove ce la possibilità di presentare formale reclamo per simili, inaccettabili atteggiamenti, tra l’altro di fronte a una situazione palesemente in violazione della legge. Assurdo che una struttura pubblica possa consentire una roba del genere. Terzo mondo.
Purtroppo in tantissimi uffici pubblici (e lo sono anche gli ospedali) il rispetto dell’utente non esiste.
Atteggiamenti che andrebbero puniti immediatamente e severamente.
Ottimo, domani vado a dare una bella lettura.
Eppure basterebbe così poco…
Le richieste cartacee (ché purtroppo non tutti hanno la possibilità di inoltrare una richiesta via mail) potrebbero inserirsi in una cassetta chiusa a chiave con fessura tipo cassetta della posta….
Ma soffermarsi un attimo sulle cose per individuare una semplice soluzione no?